Da Paese così a lungo di emigranti, l’Italia si sta lentamente trasformando in un paese di immigrati, nonostante i primi – a dispetto di quanto ci viene propinato dai giornali, dai media e da certi esagitati xenofobi – continuino a superare i secondi. Il libro di Pugliese, che oltre a occuparsi di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma è anche una delle firme de Il Manifesto, ripercorre, cifre alla mano, questa lunga storia, mostrandone sfaccettature, implicazioni sociali, etiche, lavorative, demografiche. Nella prima parte l’attenzione è focalizzata più su un quadro storico, al centro del quale si collocano le due grandi migrazioni che hanno visto protagonisti gli italiani: quella a cavallo tra ottocento e novecento, soprattutto verso le Americhe, e quella dell’immediato dopoguerra, quando Belgio, Germania e Svizzera sono diventate le mete più frequenti. La seconda parte del libro si concentra invece maggiormente sull’attualità e quindi sul problema dell’immigrazione, che nel nostro Paese si è cominciato ad avvertire con l’arrivo dei tunisini nella seconda metà degli anni ’70, con il 1975 a fare da vero e proprio spartiacque.
Il testo è indubbiamente documentato, le cifre non mancano così come i nei. Il primo di questi risiede in uno stile tutt’altro che accattivante, ulteriormente appesantito dalla continua ripetizione dei concetti. Il secondo problema del libro è più tecnico: a dispetto del consistente numero di dati e tabelle, all’autore manca qualsiasi sottigliezza metodologica, fatto evidentissimo quando il fenomeno migratorio non viene mai posto in relazione con l’effetto inerziale della decrescita demografica, per cui i dati che ne risulterebbero avrebbero tutt’altra incidenza.
Il testo è indubbiamente documentato, le cifre non mancano così come i nei. Il primo di questi risiede in uno stile tutt’altro che accattivante, ulteriormente appesantito dalla continua ripetizione dei concetti. Il secondo problema del libro è più tecnico: a dispetto del consistente numero di dati e tabelle, all’autore manca qualsiasi sottigliezza metodologica, fatto evidentissimo quando il fenomeno migratorio non viene mai posto in relazione con l’effetto inerziale della decrescita demografica, per cui i dati che ne risulterebbero avrebbero tutt’altra incidenza.