“Con l’eccezione dei rampolli della dinastia Ming e di
quelli dell’aristocrazia nella Francia prerivoluzionaria, i nostri figli sono i
più viziati della storia dell’umanità”. Si apre con questa lapidaria
affermazione della giornalista Elizabeth Kolbert il volume, parzialmente
autoaccusatorio, di un altro giornalista, Antonio Polito, classe 1956, che alla
sua generazione di padri (ma anche di madri) attribuisce la colpa di essere
stata del tutto incapace di crescere adeguatamente i propri figli. Le ragioni
storiche e culturali che hanno permesso questo primato in negativo vanno cercate
lungo quattro direzioni di analisi: 1) il diritto al benessere, secondo cui la
sua (la nostra) generazione ha trasmesso ai figli l’idea che ogni generazione
avrebbe potuto godere di una prosperità maggiore di quella successiva; 2) il
ruolo della contraccezione, che ha permesso di mettere al mondo soltanto figli
desiderati (in concomitanza, aggiungo io, alla flessione della natalità, per
cui si è trattato spesso anche di figli unici); 3) il ruolo giocato dalle
filosofie consolatorie, tale per cui, a cominciare da Freud, sono state gettate
le basi per una riduzione dell’etica alla psicologia (tradotto: aggredisce,
ruba, stupra, va male a scuola, si droga perché papà lo trascurato); 4) il
ruolo del darwinismo (a mio avviso l’argomento più debole), il quale
spiegherebbe “tutti i comportamenti umani come conseguenze inevitabili della
storia evolutiva della specie, e non come scelte più o meno consapevoli degli
individui” (p. 27).
Questi quattro elementi hanno fatto da innesco a una
considerazione della genitorialità sempre più lasca, con padri sempre più
“mammi” e sempre meno capaci di giocare il ruolo parsonsiano di diaframma tra
bambini e mondo. Padri che coccolano, vezzeggiano, sono perennemente schierati
dalla parte dei figli, osteggiano i docenti che criticano i loro cocchini, li
spronano alla competizione e alla dimensione performativa, li crescono nel
consumismo più sfrenato e, peculiarità dei padri italiani (è di loro che si
parla nel libro), optano per la scelta ultraconservatrice di destinarli a diventare
proprietari di un appartamento. E, si sa, “una nazione di proprietari è più
conservatrice e meno disposta a fare rivoluzioni” (p. 74). È anche per questo
che deteniamo il record europeo di Neet (Not in education, employment or
training): “più un giovane può contare su quello che gli lascerà il padre, meno
si darà da fare per lavorare” (p. 95).
Molte argomentazioni presentate da Polito sono condivisibili
e fanno riferimento a dati e fatti. Va però detto che sul testo aleggia un’aria
fortemente conservatrice, tipica di quella sinistra arancione di cui Polito è
uno dei massimi esponenti e che di sinistra non ha praticamente nulla. Basta
guardare le fonti che cita: Ichino, Fornero, Treu.
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