mercoledì 29 agosto 2012

Enrico Pugliese - L'Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne (Il Mulino, 2006)



Da Paese così a lungo di emigranti, l’Italia si sta lentamente trasformando in un paese di immigrati, nonostante i primi – a dispetto di quanto ci viene propinato dai giornali, dai media e da certi esagitati xenofobi – continuino a superare i secondi. Il libro di Pugliese, che oltre a occuparsi di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma è anche una delle firme de Il Manifesto, ripercorre, cifre alla mano, questa lunga storia, mostrandone sfaccettature, implicazioni sociali, etiche, lavorative, demografiche. Nella prima parte l’attenzione è focalizzata più su un quadro storico, al centro del quale si collocano le due grandi migrazioni che hanno visto protagonisti gli italiani: quella a cavallo tra ottocento e novecento, soprattutto verso le Americhe, e quella dell’immediato dopoguerra, quando Belgio, Germania e Svizzera sono diventate le mete più frequenti. La seconda parte del libro si concentra invece maggiormente sull’attualità e quindi sul problema dell’immigrazione, che nel nostro Paese si è cominciato ad avvertire con l’arrivo dei tunisini nella seconda metà degli anni ’70, con il 1975 a fare da vero e proprio spartiacque.
Il testo è indubbiamente documentato, le cifre non mancano così come i nei. Il primo di questi risiede in uno stile tutt’altro che accattivante, ulteriormente appesantito dalla continua ripetizione dei concetti. Il secondo problema del libro è più tecnico: a dispetto del consistente numero di dati e tabelle, all’autore manca qualsiasi sottigliezza metodologica, fatto evidentissimo quando il fenomeno migratorio non viene mai posto in relazione con l’effetto inerziale della decrescita demografica, per cui i dati che ne risulterebbero avrebbero tutt’altra incidenza.

venerdì 24 agosto 2012

Henri Margaron - Le stagioni degli dei. Storia medica e sociale delle droghe (Raffaello Cortina, 2001)



Il libro di Margaron, direttore del dipartimento delle dipendenze tossicologiche di una ASL livornese, è indubbiamente tanto documentato quanto appassionato. In esso viene ripercorso fin dagli albori – partendo addirittura da un confronto con le altre specie animali – l’inguaribile bisogno dell’uomo di “staccare” dalla realtà attraverso l’assunzione delle cosiddette droghe. È una storia lunghissima dalla quale l’autore lascia emergere soprattutto la precarietà del confine tra le proprietà inebrianti delle droghe e quelle curative, mostrando come – per citare le più note – le piante di papavero, canapa e vite siano andate incontro a reazioni spesso opposte, ora viste come panacee, ora come pericolo verso il quale ingaggiare battaglie all’ultimo codice. L’itinerario, data anche la mole documentaria, è tortuoso, e ha visto oscillare il pendolo dell’ammissibilità tra la piena approvazione sociale e la pena di morte (come nel caso del tabacco, il cui fumo, col cristianesimo, non poteva che essere associato a Satana). Stimoli e curiosità non mancano, ma l’autore incespica ogni tanto in un’ostentazione di erudizione talmente compiaciuta da porsi come ostacolo al flusso del discorso, al punto da lasciare avvertire in diversi momenti la precarietà del filo argomentativo. Più storia della medicina – con incursioni nell’antropologia culturale, nella psicologia e nelle neuroscienze – che storia delle droghe in senso stretto (per un confronto si veda l’ottimo saggio di Escohotado, Piccola storia delle droghe), l’esauriente libro di Margaron, che adotta un punto di vista tutt’altro che convenzionale, trova nell’eccessivo nozionismo e nelle precisazioni inutili e compiaciute uno dei suoi pochissimi nei.