domenica 25 novembre 2012

Agnese Vardanega - L'analisi dei dati qualitativi con Atlas.ti (Aracne, 2008)





Testo molto tecnico per esperti di content analisys, il libro della Vardanega ha il pregio di essere l’unica monografia specifica dedicata al programma Atlas.ti comparsa in Italia. Peccato però che il saggio si collochi in una zona anfibia tra l’approfondimento e i suggerimenti per il neofita, non riuscendo a soddisfare né l’uno né l’altro. Troppo carenti gli esempi, poco chiare le procedure, opachi gli obiettivi delle diverse opzioni metodologiche disponibili nel software. Molto meglio, allora, andare a recuperare l’ottimo testo introduttivo di Luca Giuliano e Gevisa La Rocca (L’analisi automatica e semi-automatica dei dati testuali, Led, 2008) o quello di Maurizio Lana (Il testo nel computer, bollati Boringhieri, 2004): oltre a rappresentare un modello espositivo assai più ordinato, entrambi hanno quanto meno il merito di non inglobare tutti i refusi del testo della Vardanega, dove se ne trova uno ogni 5-6 pagine, indizio di una scarsa cura in fase di revisione e di probabile mancanza di referaggio.
A tutto questo va aggiunto che il paradigma al quale si ispira il programma, la Grounded theory di Glass e Strauss, in buona parte della sociologia accademica viene considerata poco più che una barzelletta.

venerdì 23 novembre 2012

Maria Cristina Saccuman - Biberon al piombo (Sironi, 2012)





Viene voglia di conoscerla, Maria Cristina Saccuman, al termine della lettura di questo suo ottimo Biberon al piombo, non fosse altro che per la bizzarria del suo curriculum (neurobiologa e ricercatrice, ma al tempo stesso laureata in lettere e filosofia) e per l’incredibile capacità di far confluire nel testo una competenza vastissima e una invidiabile capacità di scrittura.
A quali pericoli per la salute sono esposti i nostri bambini? Con una esperienza da neurofisiologa di livello internazionale che si è occupata a lungo di disturbi del linguaggio nei bambini, l’autrice ci presenta questi ultimi come l’elemento più vulnerabile rispetto ai tanti agenti tossici che ci circondano. Ben lontani dall’essere adulti in miniatura, come vorrebbero farci credere coloro che tagliano corto quando si tratta di fare il computo di costi e benefici (che si traduce in una contesa tra progresso tecnologico e salute pubblica), i bambini, alla stregua degli adulti ma con rischi assai maggiori dovuti allo sviluppo, sono minacciati da sostanze come cloro, piombo, pop, mercurio, diossine, black carbon, bpa e molte altre. I pericoli sono dappertutto: dalle tubature dell’acqua ai vaccini, fino al latte materno. Se quest’ultimo “fosse venduto al supermercato, quello della maggior parte delle donne europee verrebbe tolto dagli scaffali, come merce contaminata da distruggere”, scrive lapidaria l’autrice. Eccesso di allarmismo? Un assist alle industrie del latte artificiale? Nient’affatto. Soltanto una spiegazione dettagliata, competentissima, che passa in rassegna una letteratura sterminata facendo riferimento all’eziologia dei disturbi dovuti ai troppi agenti chimici che pullulano nelle nostre vite. Un libro scritto come un thriller e con uno stile delizioso (si rimane ammirati dalle improvvise deviazioni dal rigore scientifico a favore di un descrittivismo parco ed ironico, come quando chiama in causa la “dottoressa Perera, una donna dall’aria garbata con una predilezione per le giacche di buon taglio”), che non manca di dare suggerimenti utili: dall’evitare l’esposizione dei più piccoli all’ozono, uscendo di casa la mattina presto o nelle ore serali al limitare l’ingestione di carni cotte alla brace, veicoli di dosi massicce di IPA (idrocarburi policiclici aromatici). Chi non fatica nel districarsi nel lessico settoriale dei biologi, non avrà difficoltà ad assegnare a Biberon al piombo l’en plein di stellette.

giovedì 15 novembre 2012

Alain De Botton - Come pensare (di più) il sesso (Guanda, 2012)


Negli anni ’90 lo scrittore svizzero Alain de Botton esordì con una terna di libri sorprendenti come Esercizi d’amore, Il piacere di soffrire e Cos’è una ragazza. Già in quelle prime opere, assai mature a dispetto della giovane età, si leggeva in filigrana la propensione a miscelare il registro narrativo con quello saggistico e filosofico, aiutandosi con immagini che talvolta risultavano surreali nell’economia del volume.
Da allora la sua produzione si è spostata progressivamente sul versante para-saggistico, pur continuando a mantenere uno stile fortemente narrativo, con incursioni in territori che vanno da Proust all’architettura e alla religione.
Questo breve saggio sul sesso prosegue su quello stesso selciato, nel tentativo di rompere alcuni dei luoghi comuni che investono il tema del libro: dall’accettazione del primato della bellezza fino alla pornografia e al tradimento. Peccato che, a dispetto di uno stile letterario molto fluido e sempre ironico (come quando ci ricorda che, in nome del sesso, “un falegname corpulento e tatuato quanto tenero passerà una serata al caffè davanti a una studentessa […] ad ascoltare distratto complesse spiegazioni sul significato della parola greca eudaimonia”), le considerazioni di de Botton risultino vacue, semplicistiche, probabilmente più adatte a un pubblico di lettori adolescenti che a una persona adulta e le immagini che le corredano sono meno che didascaliche, se non addirittura involontariamente grottesche. Gli esempi di questa pochezza si ritrovano sparse un po’ ovunque. Per esempio. le soluzioni proposte per le coppie di lungo corso che vedono appassire il desiderio – pur esplicitando qualche credito nei confronti della letteratura che si è occupata di sessuologia, a partire da Masters e Johnson – hanno molto d’ingenuo e fanno poco i conti con il moralismo diffuso (“un partner scatti all’altro delle foto di nudo, le carichi su un sito Internet e solleciti i commenti spassionati di un pubblico mondiale”).
La sezione più interessante e meglio argomentata è quella che tratta del rapporto tra amore e sesso: ma anche in quel caso, a ben vedere, l’autore non si distanzia granché dalla grande lezione freudiana, in una dialettica imperitura tra bisogno di sicurezza e bisogno di libertà.

domenica 11 novembre 2012

George Ritzer - La religione dei consumi (Il Mulino, 2012)


Conosciuto dal pubblico extraccademico soprattutto per avere pubblicato un testo seminale come Il mondo alla McDonald’s, George Ritzer riprende molti dei concetti impiegati in quel volume per ricontestualizzarli in un’opera dal respiro ancora più ampio che aggiorna l’analisi delle “cattedrali del consumo” alla contemporaneità.
Al concetto weberiano di razionalizzazione, vero punto di snodo dell’opera precedente, l’autore aggiunge quelli in incantamento, disincanto, simulazione, implosione e, naturalmente, strumenti di consumo. L’analogia tra fenomeno religioso e comportamento di consumo, a dispetto del titolo, è appena abbozzata, ma è sufficiente a mostrare quanto di coattivo e manipolatorio ci sia nella nostre vite e che ci spinge al consumo compulsivo senza che ce ne rendiamo più conto. Il gioco consiste nell’indurre alla sostituzione dei rapporti con gli umani con quelli inanimati delle merci, in un’ottica in cui diventa centrale la quantità rispetto alla qualità (size is matter), la spettacolarizzazione delle merci, l’implosione del tempo e dello spazio del consumo, nello spostamento dalla fabbrica come elemento chiave di una società basata sulla produzione al centro commerciale come icona di una società basata sul consumo. I grandi centri commerciali diventano allora i non luoghi adibiti ad attirare consumatori inconsapevoli verso una ridda di merci diversificate ma riunite all’interno dello stesso enorme luogo, con la contraddizione che ciò comporta in termini di impegno pedatorio da parte degli avventori.
Pur evitando precisazioni cronologiche eccessive, l’autore tende a collocare il repentino cambiamento dello scenario dei consumi dopo la seconda guerra mondiale: un cambiamento indotto tanto dalla diffusione di nuove tecnologie quanto dall’accesso ai consumi da parte di giovani e anziani, categorie sociali precedentemente escluse per ragioni tra loro profondamente differenti.
Ecco allora che in questo nuovo scenario cambiano i giocattoli – che se una volta rappresentavano una sorta di viatico verso la vita adulta, a partire dagli anni ’30 sono stati pensati appositamente per i bambini – vengono pianificate le strategie di esposizione delle merci (e qui sembra di ritrovare quel libro seminale di Vance Packard che è I persuasori occulti) e sempre più concentrati i luoghi del consumo. La potenza ipnotica delle merci finisce così per proporre nuovi strumenti di consumo che, secondo Ritzer, mostrano un numero crescente di analogie con le prigioni: spazi chiusi, disciplina ferrea, asetticità dei luoghi condivisi, telecamere, sorveglianza, percorsi obbligati (pensate a quando siete all’Ikea), eccetera. Il problema di come tenere alto il profilo dei consumi viene superato con un gioco di continuo re-incantamento e spettacolarizzazione delle merci stesse.
Un libro dunque assai ben argomentato, documentatissimo, non di rado ai limiti della pedanteria, che fa ampio riferimento alla condizione americana – autentico volano nel proporre la religione dei consumi a livello globale – e prosecutore ideale di classici come Weber, Veblen e Packard. Un libro che merita certamente attenzione, dunque, nonostante sia scritto con uno stile poco accattivante e presenti una forte ripetitività dei concetti.
Alla fine della lettura ci si domanda: perché mai dovrei scrivere una recensione? Nelle strategie di articolazione dei nuovi strumenti di consumo non rientra forse il fatto di far “lavorare” i consumatori stessi, come quando dobbiamo passare sotto il lettore per codici a barre le merci che ci accingiamo ad acquistare? E Amazon,o Anobii stesso, non sfruttano forse questo stesso meccanismo?

giovedì 1 novembre 2012

Giovanni Ciofalo - Infiniti anni ottanta (Mondadori, 2011)



Gran parte di ciò che la società italiana è diventata oggi lo si deve a ciò che è stato seminato negli anni ’80. È la tesi di Gi(ov)anni Ciofalo, docente di sociologia dei processi culturali alla Sapienza di Roma, che nelle circa 200 pagine (scritte in un corpo carattere talmente piccolo da essere realisticamente almeno un terzo di più) mostra, con esattezza di argomenti e puntualità di osservazioni, come le massicce trasformazioni intervenute a livello culturale e sociale nel nostro paese siano in gran parte addebitabili a quella rivoluzione che furono gli anni ’80. È facile vedere come il sistema televisivo sia stato in gran parte responsabile di questa metamorfosi – e infatti l’autore dedica quasi metà del volume all’argomento – al punto di contribuire a ridisegnare l’identità stessa degli italiani. In questa prospettiva, scrive Ciofalo, “è plausibile che in quegli anni l’atavica furbizia del carattere nazionale, la mancanza di spirito civico e l’arrivismo senza scrupoli degli italiani abbiano smesso di essere considerati disvalori di cui vergognarsi, per diventare strategie vincenti con cui affrontare le sfide della modernità”. Ecco allora che parole come evasione, intrattenimento, ridondanza, volgarità, kitsch e concetti come quello della sovraesposizione del corpo femminile si incuneano abitudinariamente nel vocabolario degli italiani, a tutto vantaggio di un ribaltamento epocale dei costumi e dei consumi degli italiani.
Documentatissimo, il testo si avvale sia di una massiccia mole di dati che di un’imponente bibliografia che Ciofalo dimostra di padroneggiare perfettamente, tanto sono dettagliati e consonanti al testo i riferimenti ai diversi autori, studi, ricerche. L’ampiezza di sguardo la si coglie soprattutto nei primi due capitoli dedicati a società e cultura (il primo) e alle industrie culturali degli anni ottanta (il secondo). Un libro imperdibile per chi quegli anni li ha vissuti con sufficiente maturità anagrafica e con la netta sensazione di essere testimone di una svolta radicale, ma che appassionerà anche chi oggi si volesse interrogare sul nostro presente. Unico neo, qualche vezzo linguistico tipico degli studiosi di comunicazione, a volte troppo inclini a creare neologismi cacofonici come “altroquandismo”. Inciampo veniale a fronte di una invidiabile capacità di scrittura.