lunedì 3 dicembre 2012

Giovanna Axia - Elogio della cortesia (Il Mulino, 1996; ed. 2012)





Era da qualche tempo che mi interrogavo sul ruolo della cortesia nelle relazioni sociali, che rimanevo senza risposta alla disattenzione civile che sconfina quasi sempre nella maleducazione di chi non risponde nemmeno a un saluto (a cominciare dai miei amabili condòmini). E d’altronde non è un caso che in epigrafe su questo blog campeggi una frase di Cormac McCarthy: “Quando non si dice più ‘grazie’ e ‘per favore’ la fine è vicina”. Poi finalmente ho trovato questo volumetto di Giovanna Alexia (1950-2007), originariamente pubblicato nel 1996 e rimesso in circolazione nel 2012 da Il Mulino. Non si tratta di una versione aggiornata dei precetti di Giovanni Della Casa né di un abbecedario da galateo linguistico. Piuttosto, Elogio della cortesia parte da una prospettiva psicologica con incursioni nella sociolinguistica e nella sociologia per proporre una lettura della cortesia come lubrificante sociale. Pur richiamandosi nella sua accezione etimologica alle regole della vita di corte, la cortesia viene qui definita dall’autrice senza essere confinata a una mera dimensione formale, bensì come la capacità di usare il linguaggio avendo cura di non offendere i sentimenti altrui, di non limitare lo spazio di libertà degli altri. Da questo punto di vista, la cortesia si articola su tre fattori: il potere, che lega i due attori della comunicazione; la distanza sociale (che però, diversamente dal potere, è una relazione di tipo orizzontale, laddove il potere è verticale) e il costo dell’atto linguistico. Già perché la cortesia ha “la capacità di ottenere azioni con le parole” e di conseguenza “ogni atto linguistico che in qualche modo minaccia i sentimenti degli altri ha un costo, più o meno alto, a seconda delle circostanze”. In più, come ha suggerito Goffman, la cortesia ha una faccia positiva e una negativa. Non nel senso che esista anche una cortesia negativa – per quanto esistano invece dei paradossi della cortesia, quando questa sconfina in un eccesso di formalità che sancisce freddezza e distacco (la gelida cortesia) – ma nel senso che si possono compiere atti linguistici che coincidono con l’universale “desiderio di essere liberi da imposizioni altrui e di vedere rispettato il proprio territorio”. La faccia positiva della cortesia si estrinseca invece nel “desiderio che la persona con cui sto parlando desideri per me tutte le cose che desidero io”. Ancora più interessante è vedere come la Axia, che ha esplorato a lungo le relazioni tra infanzia e cortesia per individuare il momento in cui i bambini cominciano ad apprendere le regole della cortesia, sia andata a operativizzare il concetto stesso in sede di osservazione empirica. In questo caso gli indicatori sono quattro: la forma interrogativa (per esempio: “mi dai la matita” contro “dammi la matita”); la presenza di “per piacere” (o sue varianti); l’uso dell’ausiliare (“mi puoi dare la matita?” contro “mi dai la matita?”) e la presenza di una giustificazione per la richiesta (“…ho dimenticato la mia a casa”).
Si scopre allora che intorno agli 8-9 anni i bambini sono già pienamente consapevoli di queste regole, sanno addirittura verbalizzarle, ma già a cinque sono in grado di distinguerle. Con una fitta rete argomentativa e di riscontri empirici, l’autrice mostra come l’uso della cortesia sia in stretta correlazione con l’intelligenza (sebbene la Axia trascuri di prendere in considerazione l’ipotesi di una relazione spuria condizionata dal livello culturale della famiglia di appartenenza) e come via sia anche una base morale della cortesia.
Un libro che affonda dunque la sua forza argomentativa nella psicologia e nella filosofia del linguaggio (Austin su tutti), che traccia una precisa linea di demarcazione tra cortesia e concetti affini (dalla deferenza fino alla piaggeria come uso machiavellico della cortesia stessa), anche se non di rado inciampa su osservazioni scontate.
A lettura finita ho trovato la risposta che cercavo. Sta in queste parole: “le persone sono scortesi non tanto perché non sanno parlare bene, quanto piuttosto perché non si interessano dei sentimenti altrui o non si sforzano di capirli”. Amen.

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