domenica 17 marzo 2013

Piergiorgio Corbetta ed Elisabetta Gualmini - Il partito di Grillo (Il Mulino, 2013)





Se stiamo alla definizione politologica data da un guru come Sartori, secondo cui per partito si può intendere “qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni, ed è capace di collocare attraverso le elezioni (libere o no) candidati alle cariche pubbliche”, ecco che subito il titolo di questa interessante analisi proposta da due eminenti studiosi dell’università di Bologna, Piergiorgio Corbetta ed Elisabetta Gualmini, risulta meno provocatorio di quanto non possa apparire a prima vista. Già, perché Grillo ha ripetutamente dichiarato che “i partiti sono morti” e considerare la sua creatura, nata tra il 2005 e il 2009, un partito stride con i suoi moniti. Il tentativo dei due autori, che non sono gli unici estensori dei diversi capitoli, è quello di analizzare in una chiave politologica e sociologica il fenomeno del Movimento 5 Stelle, sfrondando il campo da qualsiasi pregiudizio, ricostruendone la traiettoria storica e ponendo alcune domande chiave: da dove vengono gli elettori del Movimento? È vero che hanno un così forte legame col web? Di quale natura è il populismo di Grillo?
Ecco allora che nelle oltre 200 pagine di analisi si dà conto del percorso personale che ha portato Grillo ad avvicinarsi alla politica, in continuità con un approccio legato soprattutto alla dimensione ecologica; ma si ricostruiscono anche le tappe fondamentali per la genesi del movimento: dalla nascita del blog www.beppegrillo.it, nel 2005, ai meetup dello stesso anno, e poi le prime liste civiche formate nel 2007, fino al V-day del 2009 e al grande successo alle elezioni amministrative del 2012, con la “presa” di Parma e della Sicilia, oltre che di tante altre realtà locali minori. Già dal quadro storico emerge un elemento che farà da filo rosso in tutta la (breve) storia del Movimento e che costituirà uno degli elementi più problematici per il futuro dello stesso: il rapporto molto stretto con il territorio (le stesse 5 stelle a cui fa riferimento il M5S – acqua, ambiente, sviluppo, trasporti, connettività – sono strettamente intrecciate con il territorio) è la spia di una visione che richiederà un salto di qualità per poter passare a una dimensione globale e nazionale, che travalichi la realtà locali.
Quanto all’elettorato, l’analisi dei flussi proposta dagli autori de Il partito di Grillo mostra che su 100 elettori del M5S, “il 46% proviene dall’area del centrosinistra, il 40% dall’area del centrodestra, il 14% dall’area di astensione” (p. 107): il che è una delle prove della trasversalità del Movimento rispetto all’asse destra-sinistra, ulteriormente amplificata dal fatto che, in sede di intervista, gli autori hanno dimostrato che, a confronto di tutti gli altri elettorati, i votanti del M5S sono quelli che si distribuiscono in maniera più difforme rispetto all’asse destra-sinistra e che sono meno inclini a riconoscere la fondatezza di queste categorie, come d’altronde ha anche dimostrato la loro collocazione in parlamento.
Quanto al legame col web, i dati a disposizione dell’Istituto Cattaneo, che ha mosso i fili della ricerca, dimostrano che, sì, il legame c’è ed è forte, ma non presenta un divario abissale col resto dell’elettorato.
La questione sviscerata nella maniera più convincente, sebbene con argomentazioni tutt’altro che causidiche nonostante l’assenza di dati, riguarda il problema del populismo. Il quale, ci spiegano i due autori citando un noto studio di Mény e Surel, può essere di tre tipi: politico (il popolo sovrano); socioeconomico (il popolo-classe) e culturale (il popolo-nazione). Sono tutte torme manichee (Tarchi, 2003) che si declinano secondo le dicotomie popolo vs. elite (il primo), potere vs. esclusi dai meccanismi socioeconomici (il secondo), noi vs. loro (il terzo, caso paradigmatico della Lega e dell’invenzione della Padania per conferire identità culturale e un movimento che annaspa nel nulla). La risposta degli autori è icastica: se esiste un appello populista nel messaggio politico di Grillo, questo è nel primo dei tre tipi e solo in quello (p. 202). Il populismo è una sindrome, come l’ha definita Wiles (1969), che nasce sempre come una reazione a una malattia, cioè a uno stato di crisi della democrazia. Ed è su quello che germogliano i populismi: sul vuoto che si viene a creare ogni volta che una democrazia va in crisi. È ciò che è accaduto con il fronte dell’Uomo qualunque all’indomani della fine del fascismo e con Forza Italia (e in parte con la Lega Nord) alla fine della Prima Repubblica. Per sua stessa natura, il populismo ha bisogno di un leader carismatico che faccia da megafono (l’immagine più volte evocata dallo stesso Grillo) ai propri accoliti. Il problema, ora che il M5S è entrato in parlamento, è quello di vedere come riuscirà a traghettare se stesso dalla fase di movimento a quella di istituzione, considerando che la legge ferrea dell’oligarchia, formulata nel 1911 dal sociologo Robert Michels, è sempre nascosta insidiosamente dietro l’angolo.



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