Com’è possibile che organismi tanto piccoli come virus e
batteri riescano imperterriti a creare flagelli così grandi e che la scienza
non sia ancora riuscita a imporre barriere perentorie a quelli che rappresentano
una delle maggiori minacce dell’umanità? La risposta prova a darcela, saltando
dalla biologia all’epidemiologia e passando per i molti casi di rilevanza
storica, Giovanni Rezza, specialista di malattie infettive che fa luce sulla
determinazione evolutiva di questi microorganismi capaci di mettere ko milioni
di persone.
Il loro vantaggio evolutivo – ci spiega l’autore – può
apparire paradossale alla luce del fatto che l’organismo ospite nel quale si
insedia può anche morire. Ecco allora che “l’evoluzione seleziona i più bravi
ad assicurarsi una progenie e a farla sopravvivere; questo successo può essere
misurato, per un germe, calcolando il numero di vittime infettate da ogni
singolo malato” (p. 34). L’uomo poi ci ha messo del suo: lo spostamento delle
popolazioni ha messo a contatto quelle che non erano mai entrate nell’orbita di
determinati microbi ai quali altre sono resistenti e la globalizzazione non ha
fatto che accelerare questo processo. Nei casi più gravi (dalla peste nera e la
spagnola fino ai casi recentissimi di HIV, Sars, aviaria e mucca pazza), si è
sempre trattato di un “salto di specie”: dai topi, i suini, le vacche e i
pipistrelli all’uomo. Ma attenzione, perché, ci informa Rezza, anche le zanzare
possono essere molto pericolose. Così come, a livello eziologico, molta rilevanza
ha avuto anche la crescita degli agglomerati umani: prima della diffusione di
grandi società stanziali, infatti “gli agenti di malattie acute […] non erano
in grado di sopravvivere in piccoli gruppi di nomadi” (p. 41), i quali peraltro
abbandonavano i loro escrementi da una parte all’altra e quindi non entravano
ripetutamente in contatto con gli agenti batteriologici e infettivi.
Naturalmente non sono mancate le risposte da parte della
scienza e non a caso vengono fatti i nomi di Pasteur, Jenner e Gallo, nonostante
parrebbe che l’uomo, per via dell’impatto sull’ambiente, voglia remare contro
se stesso.
L’agile saggio di Rezza cerca di condensare in un numero
ridotto di pagine i tanti aspetti della questione, ma nel farlo non riesce a
tenersi alla larga da una certa ridondanza e da uno stile di scrittura talvolta
pedante.
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