Senza riparo ha due grandi pregi: riesce a far dialogare testi nati come conferenze o articoli sparsi e affronta questioni complesse mantenendo saldo un punto: dal 2008 in poi «la sensazione di essere al riparo sta scomparendo», il futuro genera ansie esplicite e l’Occidente collettivo appare attraversato da tensioni prima impensabili. Emblematica, in tal senso, la frase finale: «Nessuno pensa che un altro mondo sia possibile, nessuno ci crede veramente». Mazzoni percorre filosofia, sociologia e soprattutto politica, mettendo a fuoco l’egemonia della “nuda vita” già denunciata da Lasch. La scrittura, densa e sorvegliata, rende il libro un raffinato tentativo di interpretare il presente alla luce del populismo dilagante e della crisi irreversibile della politica dei notabili.
Colpisce la capacità dell’autore di unire rigore e tono quasi narrativo, delineando un Occidente che, dopo decenni di apparente stabilità, scopre il vuoto di protezioni: crisi economiche, potenze emergenti, migrazioni irregolate, un’Europa smarrita dietro gli slogan di Trump, emergenze climatiche relegate in fondo all’agenda. Il libro, però, non si limita alla diagnosi geopolitica: mostra come la democrazia liberale si sia progressivamente svuotata, lasciando spazio a “bolle di benessere e sicurezza percepita” e a leader capaci di incarnare la metamorfosi antropologica (Berlusconi, outsider seduttore; Trump, antitesi del salotto buono). Il Sessantotto viene riletto senza mitizzazioni: una parte compatibile col capitalismo, un’altra – minoritaria – utopica e realmente sovversiva. Non ci sono soluzioni consolatorie: Mazzoni osserva con chiarezza cartesiana e gusto per la provocazione, suggerendo che il vero “riparo” oggi consista nel ripensare categorie e conflitti più che nell’illusione di un ordine nuovo.
Colpisce la capacità dell’autore di unire rigore e tono quasi narrativo, delineando un Occidente che, dopo decenni di apparente stabilità, scopre il vuoto di protezioni: crisi economiche, potenze emergenti, migrazioni irregolate, un’Europa smarrita dietro gli slogan di Trump, emergenze climatiche relegate in fondo all’agenda. Il libro, però, non si limita alla diagnosi geopolitica: mostra come la democrazia liberale si sia progressivamente svuotata, lasciando spazio a “bolle di benessere e sicurezza percepita” e a leader capaci di incarnare la metamorfosi antropologica (Berlusconi, outsider seduttore; Trump, antitesi del salotto buono). Il Sessantotto viene riletto senza mitizzazioni: una parte compatibile col capitalismo, un’altra – minoritaria – utopica e realmente sovversiva. Non ci sono soluzioni consolatorie: Mazzoni osserva con chiarezza cartesiana e gusto per la provocazione, suggerendo che il vero “riparo” oggi consista nel ripensare categorie e conflitti più che nell’illusione di un ordine nuovo.
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