martedì 25 dicembre 2012

Paolo Branca - I musulmani (Il Mulino, 2000)




La questione sollevata da quello che, con una certa enfasi lessicale, si è arrivato a chiamare “scontro di civiltà” ha la sua radice nel contatto sempre più diffuso tra mondo islamico e mondo occidentale. Questo saggio di Paolo Branca, islamista alla Cattolica di Milano, cerca di sfrondare alcuni dei potenziali pregiudizi che investono gli esponenti della seconda religione più diffusa al mondo con una programmaticità evidente fin dal sottotitolo: “per secoli li abbiamo temuti, ora dobbiamo conoscerli”. Lo scopo, per quanto perseguito con obiettività scientifica, evitamento di aggettivazioni infelici e rigore argomentativo, viene però raggiunto solo a metà. Non per demerito dell’autore, ma perché, per quanto l’islam abbia cercato in alcuni casi la via del riformismo e del rinnovamento, in esso si depositano certi caratteri tipici della precettistica religiosa, più o meno inaccettabili a seconda delle versioni. Già, perché certi passi del Corano – il testo sacro dell’islam – non sono granché rasserenanti, a cominciare dalla legge del taglione, a proseguire con la disapprovazione del celibato e a finire con la discriminazione di genere. Tutte cose note e tutt’altro che prive di fondamento. Ma nel testo si fa menzione anche di elementi meno noti, a cominciare dalla pronuncia corretta del nome (islàm) e a proseguire con le tante derivazioni del canone originario, tra le qualiil sufismo è tra le più interessanti e innovative.
Il volume fa piazza pulita anche di alcuni equivoci che si sono creati intorno all’islam. Tra questi, quello che vorrebbe una sorta di equivalenza tra islam e mondo arabo, dimenticando che la lega degli stati arabi (Algeria, Arabia Saudita, Bahrein, Comore, Egitto, Emirati Arabi, Gibuti, Giordania, Iraq, Kuwait, Libia, Libano, Marocco, Mauritania, Oman, Palestina, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia e Yemen) è solo una parte del complesso arcipelago islamico, del quale non va trascurata la rilevanza dell’islam nero (diffuso soprattutto in Senegal, Mali e Sudan), o quella dell’Indonesia, che è il paese islamico più popoloso al mondo. Attraverso il sistema dei media, nel mondo occidentale arrivano con più facilità le notizie relative alle frange estreme dell’islam, quelle che hanno attecchito in Iran, Afghanistan e Pakistan, se non addirittura nella ex-Jugolavia, dove per tutti gli anni novanta si sono svolte sanguinarie guerre secessioniste in nome della religione. Alla stessa stregua, suonerà insolita la mancata coincidenza, almeno nelle intenzioni, tra islam e nazionalismo, giacché alcuni stati islamici nei quali la versione integralista è più diffusa hanno finito proprio per far coincidere le due cose.
Nonostante dunque le tante prescrizioni e proscrizioni che ammantano la dottrina islamica – dal digiuno durante il Ramadan alle pratiche alimentari fino alle cinque preghiere quotidiane – l’islam mostra anche alcuni elementi di forte coesione sociale, quanto meno a livello fondativo: tra questi, il collettivismo (che porta i suoi adepti a disprezzare l’individualismo diffuso in occidente) e lo sguardo rivolto al passato.
Coerente con il titolo della collana (Farsi un’idea), il volume rimane entro il solco di una scrittura di forte impronta accademica e lo stile, con un periodare spesso lungo, non rende granché accattivante la lettura.

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