Titolo e sottotitolo sono fuorvianti. L’autrice che sei anni prima aveva dato alle stampe quel libro seminale che è Quando l’amore finisce, parte ritagliando una porzione di quella tematica, cominciando appunto col discutere di amore e potere. Ma dopo poche pagine la dimensione psicologica si affievolisce per lasciare spazio ad altri ambiti disciplinari che la Francescato esplora in lungo e in largo: dall’economia alla pedagogia, dalla politica alla sociologia. Gli intenti divulgativi del testo sono d’altronde chiarissimi fin dal principio, dal momento che il volume è concepito sotto forma di intervista tra un immaginario “Aiem”, che deve ancora venire al mondo, e l’autrice stessa. Un buon viatico, dunque, per chi è pressoché a digiuno del problema del potere – che si presta certo più a una declinazione socio-politologica che psicologica – ma un’opera ridondante e con molte pagine scontate per chi quegli argomenti li frequenta da tempo. Per quest’ultimo tipo di lettore, sono proprio gli aspetti legati all’analisi psicologica quelli più pregnanti, come quando si parla del rapporto tra orgasmo maschile e femminile, da una parte, e capacità emozionale dall’altra o come quando si offre una lettura della ricerca spasmodica dell’innamoramento come accesso facilitato alle emozioni.
martedì 30 ottobre 2012
martedì 2 ottobre 2012
Donata Francescato - Quando l'amore finisce (Il Mulino, 2012)
Non è il solito libro di self-help e nemmeno un bigino per cuori infranti il libro seminale di Donata Francescato, arrivato alle terza edizione a vent’anni esatti dal suo esordio in libreria. La studiosa, una psicologa di chiara fama, prende da subito il toro per le corna smontando fin dalle prime pagine, grazie al supporto di una bibliografia ricchissima (ma purtroppo non raccolta alla fine del volume), l’idea che l’amore romantico sia di per sé qualcosa di positivo. Al contrario, ammonisce la Francescato facendo leva sul sociologo Slater, l’amore romantico è per così dire sponsorizzato dall’etica del consumo: la richiesta di qualità in amore è alla base dell’adozione di un meccanismo di continua richiesta di novità che si applica anche all’amore. Sicché il passaggio dalla rottura dei matrimoni “per colpa” a quella “per insoddisfazione”, congiuntamente con l’influenza della giurisprudenza, del femminismo e della maggiore autonomia femminile, ha determinato un impressionante aumento delle separazioni.
I concetti chiave sui quali si impernia questo appassionante libro – costruito in buona parte a ridosso delle 610 interviste in profondità che l’autrice e la sua squadra hanno rivolto a persone separate – sono quelli di amore come antidoto, la ricerca narcisistica di risarcimento alle frustrazioni dell’io bambino e il conseguente ingaggio di relazioni come compensazione della bassa autostima, i copioni di vita che ci inducono a ricalcare il modello genitoriale, differenziazione e individuazione nella coppia, intimità e indipendenza.
Con uno stile asciutto, scorrevole, ricchissimo di testimonianze, l’autrice si muove con agilità tra la psicologia del profondo e le molte discipline che si sono occupate del problema delle separazioni, fornendo prove, analisi, suggerimenti che rendono questo libro un’opera di valore apicale nel suo genere.
Non aggiungono molto le due postfazioni (quella del 2002 e quella del 2012) e colpisce, unico neo del volume, la gran quantità di refusi riscontrata in un prodotto di un editore di razza come Il Mulino. Su tutti, “a loro”, scritto spessissimo “alloro”, quasi che nella riproposizione del testo fosse stato adottato uno strumento di acquisizione automatica.
I concetti chiave sui quali si impernia questo appassionante libro – costruito in buona parte a ridosso delle 610 interviste in profondità che l’autrice e la sua squadra hanno rivolto a persone separate – sono quelli di amore come antidoto, la ricerca narcisistica di risarcimento alle frustrazioni dell’io bambino e il conseguente ingaggio di relazioni come compensazione della bassa autostima, i copioni di vita che ci inducono a ricalcare il modello genitoriale, differenziazione e individuazione nella coppia, intimità e indipendenza.
Con uno stile asciutto, scorrevole, ricchissimo di testimonianze, l’autrice si muove con agilità tra la psicologia del profondo e le molte discipline che si sono occupate del problema delle separazioni, fornendo prove, analisi, suggerimenti che rendono questo libro un’opera di valore apicale nel suo genere.
Non aggiungono molto le due postfazioni (quella del 2002 e quella del 2012) e colpisce, unico neo del volume, la gran quantità di refusi riscontrata in un prodotto di un editore di razza come Il Mulino. Su tutti, “a loro”, scritto spessissimo “alloro”, quasi che nella riproposizione del testo fosse stato adottato uno strumento di acquisizione automatica.
martedì 11 settembre 2012
Carocci editore - Mezzo secolo di canzoni italiane
Etichette:
2012,
carocci,
musica,
sociologia,
stefano nobile
mercoledì 29 agosto 2012
Enrico Pugliese - L'Italia tra migrazioni internazionali e migrazioni interne (Il Mulino, 2006)
Da Paese così a lungo di emigranti, l’Italia si sta lentamente trasformando in un paese di immigrati, nonostante i primi – a dispetto di quanto ci viene propinato dai giornali, dai media e da certi esagitati xenofobi – continuino a superare i secondi. Il libro di Pugliese, che oltre a occuparsi di sociologia del lavoro alla Sapienza di Roma è anche una delle firme de Il Manifesto, ripercorre, cifre alla mano, questa lunga storia, mostrandone sfaccettature, implicazioni sociali, etiche, lavorative, demografiche. Nella prima parte l’attenzione è focalizzata più su un quadro storico, al centro del quale si collocano le due grandi migrazioni che hanno visto protagonisti gli italiani: quella a cavallo tra ottocento e novecento, soprattutto verso le Americhe, e quella dell’immediato dopoguerra, quando Belgio, Germania e Svizzera sono diventate le mete più frequenti. La seconda parte del libro si concentra invece maggiormente sull’attualità e quindi sul problema dell’immigrazione, che nel nostro Paese si è cominciato ad avvertire con l’arrivo dei tunisini nella seconda metà degli anni ’70, con il 1975 a fare da vero e proprio spartiacque.
Il testo è indubbiamente documentato, le cifre non mancano così come i nei. Il primo di questi risiede in uno stile tutt’altro che accattivante, ulteriormente appesantito dalla continua ripetizione dei concetti. Il secondo problema del libro è più tecnico: a dispetto del consistente numero di dati e tabelle, all’autore manca qualsiasi sottigliezza metodologica, fatto evidentissimo quando il fenomeno migratorio non viene mai posto in relazione con l’effetto inerziale della decrescita demografica, per cui i dati che ne risulterebbero avrebbero tutt’altra incidenza.
Il testo è indubbiamente documentato, le cifre non mancano così come i nei. Il primo di questi risiede in uno stile tutt’altro che accattivante, ulteriormente appesantito dalla continua ripetizione dei concetti. Il secondo problema del libro è più tecnico: a dispetto del consistente numero di dati e tabelle, all’autore manca qualsiasi sottigliezza metodologica, fatto evidentissimo quando il fenomeno migratorio non viene mai posto in relazione con l’effetto inerziale della decrescita demografica, per cui i dati che ne risulterebbero avrebbero tutt’altra incidenza.
Etichette:
2006,
enrico pugliese,
il mulino,
sociologia
venerdì 24 agosto 2012
Henri Margaron - Le stagioni degli dei. Storia medica e sociale delle droghe (Raffaello Cortina, 2001)
Il libro di Margaron, direttore del dipartimento delle dipendenze tossicologiche di una ASL livornese, è indubbiamente tanto documentato quanto appassionato. In esso viene ripercorso fin dagli albori – partendo addirittura da un confronto con le altre specie animali – l’inguaribile bisogno dell’uomo di “staccare” dalla realtà attraverso l’assunzione delle cosiddette droghe. È una storia lunghissima dalla quale l’autore lascia emergere soprattutto la precarietà del confine tra le proprietà inebrianti delle droghe e quelle curative, mostrando come – per citare le più note – le piante di papavero, canapa e vite siano andate incontro a reazioni spesso opposte, ora viste come panacee, ora come pericolo verso il quale ingaggiare battaglie all’ultimo codice. L’itinerario, data anche la mole documentaria, è tortuoso, e ha visto oscillare il pendolo dell’ammissibilità tra la piena approvazione sociale e la pena di morte (come nel caso del tabacco, il cui fumo, col cristianesimo, non poteva che essere associato a Satana). Stimoli e curiosità non mancano, ma l’autore incespica ogni tanto in un’ostentazione di erudizione talmente compiaciuta da porsi come ostacolo al flusso del discorso, al punto da lasciare avvertire in diversi momenti la precarietà del filo argomentativo. Più storia della medicina – con incursioni nell’antropologia culturale, nella psicologia e nelle neuroscienze – che storia delle droghe in senso stretto (per un confronto si veda l’ottimo saggio di Escohotado, Piccola storia delle droghe), l’esauriente libro di Margaron, che adotta un punto di vista tutt’altro che convenzionale, trova nell’eccessivo nozionismo e nelle precisazioni inutili e compiaciute uno dei suoi pochissimi nei.
Iscriviti a:
Post (Atom)