sabato 9 febbraio 2013

Paolo Sollier con Paolo La Bua - Spogliatoio (Kaos, 2008)





Calci e sputi e colpi di testa, le “riflessioni autobiografiche di un calciatore per caso” fu il libro fondamentale della mia adolescenza. A scriverlo fu Paolo Sollier, calciatore del Perugia per una sola stagione in serie A con la squadra umbra, per poi fare le valigie, destinazione Rimini. Quel libro, al di là della prosa accattivante che mai ti sogneresti di trovare in un mezzo divo della pedata, conteneva riflessioni a tutto campo sul calcio, certo, ma anche sull’amicizia, l’amore, il sesso, i viaggi, il cameratismo tra compagni e, forse più di tutti, la politica.
7 lustri più tardi sono passato a leggere l’opera seconda di Paolo Sollier, che, con molti capelli in meno ma lo stesso spirito barricadero di allora, è da anni transitato al ruolo di allenatore di squadre giovanili in promozione. Ho scoperto così di avere percorso con uno dei miti della mia adolescenza una sorta di cammino parallelo, come se certi valori – la furia iconoclasta con cui si dirige a testa bassa contro le convenzioni sociali più viete e la libertà da certi modelli posticci – fossero stati scritti nel suo, come nel mio, DNA.
Il libro è redatto sotto forma di intervista, con qualche foto d’archivio a cadenzare la scansione dei capitoli, nella quale Sollier, partendo dal calcio, ancora una volta si esprime con invidiabile profondità e indipendenza di pensiero, sciorina aneddoti divertentissimi, inventa trovate linguistiche sempre originali (sentite questa: quando parla di un campo di calcio nel quale andava a giocare quando era al Cinzano scrive che «ci sembrava di bestemmiarne la perfezione stuprandolo di tacchetti»).
Da queste pagine emerge chiaramente il disagio per un calcio ormai diventato business a tutti gli effetti, nel quale le famiglie investono sui figli fin da quando sono piccoli sperando di trasformarli in re Mida miniaturizzati: tutto il contrario di quanto accadeva fino agli anni sessanta e settanta, quando per lo più si diventava giocatori per caso se qualche talent scout passava a vederti giocare all’oratorio. Sarà per questo che il mio amico (amico?) Marco Ginesi, che non ha nulla da invidiare a certi presunti assi della serie A, ha fatto il commercialista anziché il calciatore: gli è mancato l’incontro giusto.
Gli anni di Sollier professionista del calcio giocato erano anche gli anni in cui una squadra di provincia ben gestita poteva permettersi di arrivare ai primi posti in classifica: accadde al Bologna, al Cagliari, ma anche al Lanerossi Vicenza e allo stesso Perugia, un paio di stagioni dopo la cessione di Sollier. Altro che i 17 anni di fila durante i quali lo scudetto è andato solo alle "imprese" Milan e Juventus (con le uniche eccezioni di Lazio e Roma, vincenti nell’anno in cui sono state titolate in borsa…). E poi il calcio non era ancora stato fagocitato dalla televisioni, i calciatori non erano contagiati dal divismo, la legge Bosman era ancora di là da venire e i numeri sulla maglie indicavano il ruolo e non le fissazioni cabalistiche dei calciatori: altro che il numero 45 di Balotelli!
In Spogliatoio si parla anche di molto altro: dell'avventura di Sollier sulle frequenze radiofoniche di Radio Rosa Giovanna, a Rimini, della sua brevissima esperienza con l’LSD, in un’epoca in cui la militanza politica non di rado si coniugava con quella delle sostanze psicotrope, di come l’appartenenza politica a destra venga spesso coltivata in curva e non viceversa, di quando prima Michele Placido e poi Gianni Amelio avrebbero voluto trarre un film da Calci e sputi…, dell’educazione libertaria e paritaria ricevuta con congruo anticipo dai genitori, quando ancora durante il ’68 vigeva un certo machismo per cui “se non la davi via” venivi tacciata di frigidità, della sua attività di libraio, dell’amore per i viaggi, la musica e la montagna, della nazionale scrittori, dove ha giocato e gioca con Baricco e Carlo D’Amicis, dell’amicizia con Gianmaria Testa (guardatevi questo video).
Il ritratto, dunque, di un uomo libero, autarchico, indipendente, miscredente, che non si è mai sposato né ha mai voluto avere figli, che non ha mai indossato la cravatta e che da quarant’anni non va a un matrimonio. Uno che, come dice lui stesso, si è perso tante volte, ma alla fine ha sempre ritrovato la strada.

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